©Jeff Wall, Un'improvvisa folata di vento (da Hokusai), 1993, Tate Modern, Londra
Tiziana Bonomo
Un gioco del subconscio
È una fotografia famosissima di un famosissimo fotografo eppure pochi sanno come è stata realizzata e perché. Cosa si vede in questa immagine che ha qualcosa di surreale?
Tra le persone che sembrano difendersi dal vento un uomo ammira o guarda con preoccupazione decine e decine di fogli che volano via da una cartellina arancione? Oppure guarda qualche altra cosa che si riesce a vedere nel cielo guardando con molta, molta attenzione? Sarà il famoso punctum? Gli abiti di chi perde il contenuto della cartellina e quelli dell’uomo con la testa all’insù sembrano quelli di impiegati, manager, da lavoro di ufficio comunque, mentre quelli degli altri due soggetti con i cappelli danno l’impressione di sportivi camminatori. Certo che il luogo è ben strano: una campagna desolante invernale arida attraversata da un fiume semi asciutto, con le rive poco pulite, confinante con tralicci della luce e in lontananza lo skyline fatto di edifici e alberi. L’albero rinsecchito è piegato dal vento e proprio il vento – elemento immateriale – sembra il vero protagonista di questa fotografia. Chissà dov’è? Perché una scena così surreale e strana?
Se si vuole dare un “padre” alla fiction photography, questi non può che essere il canadese Jeff Wall*. Figura di riferimento della fotografia contemporanea e artista tra i più quotati al mondo con una grande carriera costruita attraverso uno stretto rapporto che passa attraverso le sue opere fotografiche, la pittura, il cinema e la letteratura.
Jeff Wall è, con Cindy Sherman e Thomas Struth, uno dei massimi artisti emersi negli Anni Ottanta. Quindi considerato uno dei più importanti staged photographer, altra definizione per dire che anziché cogliere il momento decisivo, agisce come un pittore, allestendo meticolosamente tutto ciò che rientra nel campo dell’inquadratura prima di scattare. Il suo procedimento di costruzione dell’immagine è una sorta di paradigma della relazione tra messa in scena e realtà. Uno tra i primi fotografi che abbia usato – per mostrare le sue foto – il grande formato (in media due metri e mezzo per tre) così come le immagini retro-illuminate (inserite in light box), una tecnica che ha preso dalla pubblicità e che trasforma ogni sua immagine in un punto d'attrazione, qualcosa a metà tra il cartellone pubblicitario, un fermo-immagine cinematografico e la pittura. "Bisogna dipingere la vita moderna": era l’intenzione di Baudelaire e di Manet, a cui si rifà Jeff Wall, che trasferisce spesso, però, la Parigi dell'Ottocento nella Vancouver di oggi, scegliendo, come mezzo, non la pittura, ma la fotografia.
A Paris Photo di quest’anno l’intrigante editore TBW Oakland* ha realizzato una curiosa scenografia nel suo stand, in omaggio alla presentazione del suo ultimo libro “A Sudden Gust of Wind (after Hokusai)” di Jeff Wall. Una composizione di 98 fogli di carta, appena appoggiati alla parete, della fotografia “Un’improvvisa raffica di vento” (il titolo del libro). Il numero dei fogli corrisponde al numero delle immagini con la quale Wall ha composto la fotografia.
È lì, al Grand Palais Ephémère di Parigi,un attimo di gioia! Mi sono ricordata diuna fantastica lectio magistralis di Jeff Wall al MAST di Bologna di qualche anno fa. E in merito a questa immagine ecco che cosa aveva dichiarato: “La maggior parte delle mie foto dal 1990 sono in qualche modo montaggi costituiti da più di un negativo.‘Un’improvvisa raffica di vento’, realizzata poco dopo, all’inizio degli anni 90 è stata ispirata dalla visione di questa xilografia di Hokusai in cui mi ero imbattuto un giorno sfogliando un libro presso il Seattle Art Museum. Mi sono ritrovato con il libro di Hokusai in mano per caso, non ero nemmeno particolarmente interessato ad Hokusai. In realtà non è possibile non avere interessi per Hokusai ma non ero interessato a lui quel giorno. E appena ho visto l’immagine di Hokusai* mi si è rivelata un’opportunità.
Mi ha dato semplicemente la mia opportunità, quindi tutto ruota intorno a me che la riconosco. La bellezza dell’opera di Hokusai parla da sé: è un’immagine di una bellezza indescrivibile che ho imparato ad apprezzare ancora di più da quando l’ho conosciuta meglio. Sembrava che avesse catturato qualcosa che poteva diventare fotografico a certe condizioni. Allora ho provato a rendergli in qualche modo omaggio con una fotografia chiamata ‘Un’improvvisa raffica di vento (dopo Hokusai)’. È un gioco fatto con molta elaborazione ma allo stesso tempo fatto in natura. Non mi piacciono i lavori realizzati in ambienti controllati questo è fatto presso una fattoria di mirtilli rossi: quindi tutto quello che c’era da fare andava fatto là. E così è stato.
Il momento in cui i fogli di questa persona volano fuori dalla cartellina verso il cielo, dice molto, a mio avviso, anche sui rapporti con i documenti, la terra, l’agricoltura, la città, la campagna quindi ha anche questo aspetto che non è realmente presente nell’opera di Hokusai dove ci sono i viaggiatori che si spostano tra due luoghi. Ho aggiunto questo aspetto perché dovevo trovare un luogo che potesse fare eco a quel lavoro e l’unico luogo che ho trovato è stato quella fattoria di mirtilli rossi fuori Vancouver che pareva avere alcune configurazioni del paesaggio di Hokusai. Ovviamente quello che manca completamente nel mio paesaggio è il monte Fuji. L’assenza del monte Fuji è molto rilevante rispetto al significato attribuibile alla fotografia. Diversamente dall’uomo che sta perdendo il suo cappello (ecco il punctum!) nella xilografia non è felice del fatto che sta perdendo il cappello, quest’uomo sta provando piacere a vedere che il suo cappello sta volando verso il cielo. Questo è importante perché non era qualcosa che ho chiesto all’uomo di fare di sorridere. Non ho chiesto all’uomo di divertirsi nel vedere che il suo cappello sta volando via. È stato un evento accidentale che non aveva nulla a che vedere con la mia direttiva. La presenza di eventi accidentali in tutte queste fotografie deve essere qualcosa che deve essere notato. Ho la fama, e non è giusta, non è meritata di pianificare tutto nei minimi dettagli e che il mio lavoro venga eseguito perfettamente secondo quel piano. Nessuna di queste due cose è possibile e nessuna è vera. Io pianifico le cose che posso pianificare e non pianifico ciò che non posso pianificare e provo a tener presente la differenza tra le due cose. Molte, molte volte in quasi ogni mia fotografia, molte delle cose che stanno avvenendo sono casuali e questo ruolo degli avvenimenti accidentali è un’altra caratteristica saliente della cinematografia. Tutti i registi che parlano del modo in cui lavorano e anche gli attori, raccontano di quante volte quello che hanno ottenuto o raggiunto è stato per caso e non era quello che stavano cercando di fare. Questo flusso interiore di preparazione e casualità è uno dei grandi elementi estetici di tutte le arti. Cose che possono essere pianificate e cose che non possono essere pianificate. Io sono sempre nel mezzo di tutto questo.”
Sappiamo comunque che per ottenere questo effetto, ha organizzato una messa in scena, durata giornate intere, con un vero e proprio set, un gruppo di attori, luci e costumi. Ha creato effettivamente una “fotografia cinematografica”, con una tecnica molto simile a quella delle riprese di un film, trattando, poi, al computer, le centinaia di foto scattate, con un lavoro lungo e paziente, per circa un anno. La precisione dell'esecuzione è paragonabile – sempre detto da Wall – a quella dei pittori realisti dell'Ottocento, che dipingevano un quadro, attenti a ogni minimo dettaglio e con piccoli e successivi tocchi di colore.
La messa in scena di questa foto mescola la tecnica cinematografica, quella digitale e la pratica, più tradizionale, della pittura. Per Jeff Wall questo è “libertà artistica nel senso che posso inventare la mia propria relazione con i grandi artisti – come ad esempio Manet, Cézanne, Pollock, Delacroix, Hokusai – tramite la miapratica artistica.”
Quando ho visto l’immagine stampata su fogli di carta leggera, a grande dimensione, a Paris Photo, ho sorriso per il ricordo di quanto questa fotografia mi avesse procurato – dalla prima volta che la vidi – sensazioni di bambina come rapita in un gioco indecifrabile per scoprire nel vento, nei movimenti, nel freddo, parti nascoste di me. E mi è sempre piaciuto che parti del mio subconscio siano racchiuse in questa come in tante altre fotografie. Il senso della fotografia vera per me è proprio questo: benefico! come il vento che scopre, toglie, porta sensazioni visibili ed invisibili.
Citando sempre Jeff Wall nell’intervista rilasciata a Daniela Salvioni per Artribune: “Per gli artisti c’è sempre un momento in cui trarre piacere da ciò che fanno, in cui si divertono a farlo bene – ciò si può chiamare composizione, che in un certo senso è l’essenza: composizione, fare pratico e abilità. La fotografia ha uno strano e complicato rapporto con queste cose. A me piace stare in una zona di sospensione, e rendere questo posizionamento parte di ciò che faccio…”.
Sospensione: parola che adoro!
Artista e fotografo canadese (n. Vancouver 1946). Dopo gli studi in storia dell’arte, iniziò a realizzare fotografie di ampio formato, montate su light-box, cogliendo la realtà contemporanea con accentuato naturalismo, in complesse ambientazioni ricostruite e popolate da attori professionisti. Tra le sue opere più celebri si segnalano: Destroyed room (1978); Picture for women (1979); Mimic (1982); Milk (1984); A sudden gust of wind (1993); Insomnia (1994); Night (2001); Forest (2001); A woman with a covered tray (2003); A view from an apartment (2004-2005). Oltre a numerose presenze a Documenta di Kassel (1982, 1987, 1997, 2002), ha esposto in sedi prestigiose, tra le quali si ricordano: Monaco di Baviera (Pinakothek der Moderne, 1988), Londra (Tate Modern, 2005), Berlino (Deutsche Guggenheim, 2008), le tre mostre realizzate nel 2007 all'Art Institute di Chicago, al MoMa di New York e di San Francisco, l’esposizione al Palais des Beaux Arts di Bruxelles (2011) e quella tenutasi a Roma presso la Galleria Lorcan O’Neill (2012).
*Hokusai “Un’improvvisa raffica di vento”
l’'immagine originale di Hokusai: i viaggiatori colti da un'improvvisa folata di vento a Ejiri, in Suruga Province (1832 circa), fa parte del più ampio portfolio intitolato “Le trentasei vedute del Fuji” e raffigura sette persone colte di sorpresa dal vento in diversi punti di uno stretto sentiero. Il sentiero si snoda tra campi verdi e blu, con il maestoso Monte Fuji sullo sfondo.
TBW Books è lieta di presentare “A Sudden Gust of Wind (after Hokusai”) di Jeff Wall. L'originale, una trasparenza in un lightbox nella collezione permanente della Tate Modern di Londra, non è semplicemente una fotografia, e allo stesso modo questa riproduzione in scala non è semplicemente un libro. Dopo quasi un decennio, questa collaborazione tra l'artista e l'editore risponde alla sfida di come il lavoro di Wall, caratterizzato dalla sua sintesi di materialità e scala, possa essere reso in modo univoco in una nuova forma di libro. A Sudden Gust of Wind (dopo Hokusai) di TBW Books riproduce l'immagine stampata dal file di montaggio digitale originale dell'artista su 98 fogli di carta leggera non rilegati. I collezionisti possono assemblarli per creare una versione a grandezza naturale. Una volta installati, i delicati movimenti dei fogli, creati dal flusso d'aria locale, riecheggiano l'energia volante delle carte nell'immagine originale. Questa versione dell'opera crea un nuovo rapporto tra l'immagine e l'atmosfera che è diventata famosa per evocare.
Con un'enorme attenzione al design, alla riproduzione e alla qualità dei materiali - dalla cartella arancione artigianale che ospita le pagine, che riecheggia quella che appare nell'originale di Wall, al clamshell stampato in alluminio firmato e numerato dall'artista - questa edizione di sole 300 copie è un risultato concettuale guidato dai più alti standard di bookmaking.

