fotografie: Federico Vespignani

Logo di "Les Misérables" in stile tipografico, con lettere nere e rosse su sfondo trasparente.

Domenico Quirico

La colpa

Volevano regnare entrambi i figli di Pelope, signore di Micene. Questa era la verità. Che i loro caratteri fossero diversi in fondo non contava nulla. Si odiavano fin da piccoli, fino da quando la nutrice li faceva entrare nella sala del trono. Era grassa la nutrice, una popolana, o forse una delle schiave che il nonno Enomao aveva rastrellato nelle sue razzie ai confini del regno di Olimpia, più bandito che sovrano dicevano i nemici, disgustati e paurosi. le grosse mammelle traboccavano dal peplo la testa si ergeva baffuta e sdegnosa, le mani aveva grassocce come un mestolo di bucato. La sala del trono emanava un armonioso orrore, come tutti luoghi in cui erano accaduti eventi orribili che era meglio non evocare, per non esserne infettati. Le mani dell'uomo avevano spinto quelle pareti al limite della perfezione e della ricchezza e le avevano usate per delitti innominabili, in onore dei sanguinari padroni.

Atreo aveva preso la crudeltà della madre e del nonno. I suoi giochi preferiti erano tormentare gli esseri viventi uccellini, cani, piccoli serpenti, i figli degli schiavi della reggia. anche nel corpo sembrava portare quella ombra feroce dell'anima: stava sempre un po' chino come se fosse in agguato, guardava di traverso e negli occhi restava un taglio di malizia, come se ripassasse dentro di se il dolore che stava per infliggere. Tieste era più simile al padre: bello, con occhi chiari e uno sguardo capace di affascinare tutte le ragazze lo amavano. Non sembrava fatto per la guerra e la strage…Erope la moglie di Atreo se ne innamorò. Dopo la prima volta la porta della stanza si aprì cigolando mille altre notti. Erope prendeva uno specchio di rame dal mucchio dei carboncini, delle creme, delle fiale prendeva una ampollina di collirio. Perché bisognava cominciare di lì. Una goccia di liquido sulla punta del piccolo dito, e sfiorava il margine della palpebra, ombreggiava le lunghe ciglia e rifaceva l'arco delle sopracciglia, stirandole finemente a punta. Poi distendeva la fine cipria di ocra su tutto il viso e mordeva le labbra per scegliere il rossetto adatto. Le labbra ora erano perfetta, spesse, ritorte, simili a due ferite dalle quali emergeva la carne nuda.

Tieste entrava e appoggiato a una colonna restava senza voce, con la bocca aperta. come attraversato da parte a parte da una lunga freccia. Una volta le disse: “c'è a Cirene una donna di marmo alla quale tu somigli''.  Le avrebbe mai detto una cosa simile il brutale Atreo?  Fino a che fu uno schiavo, uno dei più sporchi e puzzolenti, si occupava del bestiame, tutto il giorno chiuso nelle stalle. Atreo lo aveva fatto battere a sangue perché una scrofa aveva abortito e dal quel giorno lui lo odiava con calma, silenziosamente, con tutto se stesso e aspettava una occasione. Ora era arrivata. Erope voleva cacciarlo dalla stanza, non devi venire qui ci vorranno brocche di lavanda e non basteranno per cancellare la tua puzza... ma lui insisteva: “padrona padrona ascoltami. Atreo vi ha scoperto!” Lo trascinò nella camera spinse l'uscio spiegò la tenda contro la porta chiusa. Ieri ... è stato ieri notte. Io spio sempre quando torna dalle sue porcherie...il padrone ha visto Pelope che usciva dalla tua camera... Lei capì subito che nessun dio li avrebbe più salvati perché Atreo non aveva reagito. Aspettava, costruiva il suo delitto con calma perché fosse atroce e perfetto. Un tempo cruento era quello, cruente le feste, le processioni, i sacrifici i balli, l'amore.

Pelope fuggì. Atreo non disse nulla. Ideava saccheggi razzie redditizie avventure di sangue e di morte come se nulla fosse accaduto. Ora era l'unico re.